La Costruzione della nuova sede
Le sedi nel corso degli anni
Da allora, la sede degli Alpini è sempre stata un luogo fondamentale per la vita associativa, un punto di riferimento per discutere, programmare piani di lavoro e di volontariato e rispondere in modo adeguato alle esigenze che di anno in anno richiedevano un coinvolgimento diretto dei membri del Gruppo.
Così, nel corso dei decenni, gli Alpini ebbero diversi sedi.
Purtroppo, per innumerevoli anni, questi sedi furono di fatto provvisorie, nel senso che non erano proprietà del Gruppo.

Ai primordi il Comune aveva concesso una sede in comodato.
Quindi furono utilizzati di volta in volta dei locali della parrocchia.
Negli anni cinquanta, la sede si trovava ad esempio in una abitazione civile in via Cherubino Villa, proprio di fronte a Piazza Piccola.
Poi fu spostata in piazza Torricella… Anche questa sede comunque venne meno a fine anni ’60.
Allora, l’antico edificio della Casa del Pellegrino si trovava in precario stato d’abbandono e, al termine del contratto parrocchiale con l’ultimo sacrestano, Sandionigi, si prospettava addirittura il pericolo che, in breve tempo, l’antico e prestigioso edificio si trasformasse in rudere o venisse deturpato nei suoi preziosi antichi lacertificati da qualche malintenzionato.
Gli Alpini colsero dunque l’occasione per cambiare sede, per l’ennesima volta, con l’impegno di risanare e restaurare, per quanto nelle loro possibilità, l’immobile.
Dunque precaria, benché legata all’antica storia del borgo di Civate, fu un’altra volta, per anni, anche questa sede del Gruppo.
Tanto precaria che, nel 2000, fu loro chiesto di abbandonare l’immobile per gli imminenti lavori di restauro, operati dalla Parrocchia sotto la guida della Sovraintendenza Regionale, che avrebbero ridonato vita e splendore alle strutture e agli affreschi quattrocenteschi, che si possono ora ammirare nella Casa del Pellegrino.


Una nuova sede, di proprietà
Era troppo! Il consiglio fu riunito d’urgenza e all’unanimità venne votata la proposta di costruire una sede che fosse proprietà del Gruppo.
Gli Alpini si guardarono intorno.
C’era in quegli anni una piccola zona, di proprietà del Comune, su cui insisteva un vecchio fienile abbandonato.
Fu presentata la richiesta d’acquisizione al Comune, indicando le finalità sociali cui sarebbe stato destinato l’edificio ristrutturato.
Rimasero in attesa. Era un sogno che covavano nell’animo da molti, troppi anni… e sembrava giunto il momento buono perché si avverasse.
Il progetto fu ritenuto di pubblica utilità ed i permessi concessi.
Non sembrava vero.
Era comunque una scommessa che gli Alpini del Gruppo di Civate, pur coi loro pochi mezzi finanziari, non avevano paura d’affrontare.

Inizia la costruzione
Ognuno fece veramente la sua parte! Tra di loro, infatti, v’erano esperti muratori, idraulici, elettricisti, falegnami, imbianchini… e trovarono subito la collaborazione del giovanissimo figlio di un alpino: Enrico Albini, architetto.
Con suo cognato, Amedeo Longhi, prepararono il progetto attuativo.
L’idea piacque agli Alpini e all’ufficio tecnico comunale. Si iniziava l’opera.
Finalmente! L’impresa edile di Alberto Castagna, figlio dell’alpino Carlo, preparò le fondamenta spingendosi sino alla soletta.
Intanto gli Alpini, con badile e piccone, scalzavano la roccia su cui in parte doveva sorgere la sede.
Una fonte naturale zampillava dal masso compatto e tenace allagava il basamento

Ma ancor più tenaci furono gli Alpini che, immersi nell’acqua, incuranti della pioggia battente di quei giorni che si accaniva contro di loro e la loro opera, si davano il cambio scavando e incastonando, uno dopo l’altro, grossi massi a difesa e sostegno del vespaio.
L’acqua della sorgente fu catturata, incanalata e avviata all’esterno nel condotto stradale.
Nel fianco della roccia fu ricavata una scala che durerà nei secoli! La prima vera battaglia, forse la più dura, era vinta, a dispetto degli scettici. Si delineava già la prima sagoma dell’edificio: un trapezio che seguiva la curvatura della strada adiacente, ma lasciava un vano vuoto, racchiuso nel basamento.
Il figlio dell’alpino Sarino Sozzi, da poco compianto, si presentò per dare un giudizio.
Non sprecò parole: “Ci penso io”.
Tornò con un’enorme circolare che divorò il cemento e l’acciaio ricavando due ingressi.
Oggi, nel vano, si trovano spazio i servizi, un utile ripostiglio e, ancor più preziosa e segreta, la cantina! Non mancarono altri momenti vissuti intensamente.
Domenica 22 ottobre fu una giornata indimenticabile.
Era stata richiesta la presenza di alcuni amici degli Alpini.
Si presentarono ancora Giuseppe Sozzi, imprenditore edile, Angelo Castagna, muratore e fratello dell’alpino Giovanni, gli imprenditori edili Angelo Galbusera e Michele Cattaneo e tanti altri Alpini del Gruppo.
Decisi, si contarono: erano 33 volontari dotati delle attrezzature idonee! E lo fecero vedere! Al termine della giornata erano state innalzate quattro pareti con relative porte e finestre, più due facciate a violino. La domenica non passò inosservata.
La gente passava sulla strada superiore o sotto l’edificio.

Sussurrava ammirata e incredula: “I Alpini de Civaa, in un dé ian tirà seu ‘na cà!”.
Ma non era proprio finita.
Un giorno arrivò il camion con il legname: erano le travi per le capriate a vista che sostenevano il tetto e le tavole del soffitto.
Anche quel giorno diluviò sino a sera.
Giovanni Colombo intervenne con una gru, scaricando le pesantissime travi e posizionandole con precisione millimetrica sulla struttura del tetto.
Ancora una volta tutti, generosamente, alpini e non alpini, dettero una mano con grande gratuità.
E non fu un caso.
Si pensava di affidare l’incarico della ringhiera a un fabbro, non essendocene fra gli Alpini del Gruppo.
Un sabato sera, all’uscita della messa prefestiva, il capogruppo Azzalini viene avvicinato da Silvano Maggi. “Se avete bisogno del mio lavoro, io ci sono!” Fu informato delle necessità. Venne sul posto il mattino seguente a prendere le misure.
Dopo qualche giorno tornò per la posa della ringhiera.
Impiegò due intere giornate.
Quando gli fu chiesto il costo, sussurrò schermendosi: “Per gli Alpini, va bene così!”.
E fu felice di stringere qualche mano. Fu solo un esempio. La volontà ferrea, la tenacia, l’incoraggiamento continuo, la dedizione al Gruppo, l’amicizia dimostrata dagli Alpini di Civate durante il lavoro sul cantiere non si possono raccontare a parole.
Dagli otto ai dieci uomini erano presenti ogni giorno, con le preoccupazioni economiche sempre incombenti.
La cassa era ormai vuota.
Azzerate le riserve.
Gli Alpini, che già lavoravano gratis, misero una mano sul cuore e l’altra al portafogli, secondo le possibilità.
E non solo loro.
Molti amici e simpatizzanti hanno contribuito col lavoro e con donazioni.
Una lettera era stata inviata a tutte le famiglie civatesi e una tenda da campo, piantata sul piazzale della chiesa, informava sui progressi dell’opera.
La generosità dei civatesi andò oltre le stesse aspettative del Gruppo Alpini.
Il Grazie degli Alpini per tutto questo sarà per sempre nel loro cuore.
Un Grazie a tutti, semplici cittadini, Parrocchia e Amministrazione Comunale.
Tutti insieme li hanno sostenuti e incoraggiati a non demordere! Oggi, gli Alpini giustamente possono dire: “Siamo orgogliosi della Nostra Sede! E ne andiamo fieri!”.
E un Grazie veramente speciale deve essere rivolto al Capogruppo Luigi Azzalini.
La sua tenacia, il suo impegno, la sua dedizione e l’incoraggiamento costante sono stati veramente fondamentali per la realizzazione di un’opera di tanto rilievo.
La nuova Sede fu inaugurata, alla presenza delle autorità, domenica 10 giugno 2001.
Erano presenti la Giunta Comunale col sindaco Castagna Serafino, il presidente della Sezione ANA di Lecco, Ripamonti Luca, il sindaco di Dolzago, Crippa Angelo, il senatore Rusconi Antonio, le rappresentanze degli Alpini di Canzo, Valmadrera, Castenedolo, tutti allietati dalla Banda di Civate e benedetti per l’occasione da un alpino speciale: il parroco don Mario Longo.


